Nell’ultimo anno la grave crisi mondiale, scoppiata in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, ha modificato il contesto geopolitico e geoenergetico. La dipendenza dal gas russo per molti paesi europei è diventata una questione da risolvere nel breve-medio periodo e in molti, Italia su tutti, hanno indirizzato il loro sguardo verso l’Africa. Tra i paesi più attivi figura l’Algeria di Abdelmadjid Tebboune. Dalla elezione di quest’ultimo alla presidenza, l’ex colonia francese sta attraversando un periodo di rilancio nel contesto regionale e in quello internazionale. Tuttavia, il contesto domestico evidenzia una chiara scollatura tra il sistema statale e la base sociale del paese. La sollevazione popolare (nota come Hirak), che ha caratterizzato il 2019 algerino, sembra ormai un ricordo. A distanza di quattro anni dall’inizio dell’era Tebboune, il piano “controrivoluzionario” ha preso il sopravvento sul malcontento popolare che aveva portato migliaia di algerini a riempire le strade e a manifestare contro lo stato delle cose. Nonostante le denunce e le manifestazioni, il governo ha sfruttato la pandemia di Covid-19 per bloccare i moti di rivolta. Tuttavia, l’equilibrio interno è traballante e, ancora oggi, persiste una forte contestazione – interna ed esterna a Le Pouvoir (il potere) – che rende complicato uno sviluppo reale del paese.
L’organizzazione delle elezioni anticipate nel 2019 e la volontà di rimodellare l’impianto istituzionale sono stati i punti iniziali di una strategia volta al restauro del potere. Secondo la narrazione ufficiale, questo processo avrebbe dovuto ripulire l’ambiente statale dalla corruzione e dalla cattiva gestione e avrebbe dovuto portare alla nascita di una “nuova Algeria”. La già citata elezione di Tebboune – che ha registrato il tasso di affluenza alle urne più basso della storia algerina (circa il 39%) – è stata seguita dalla revisione della Carta costituzionale. Un’iniziativa, anche questa, che avrebbe dovuto soddisfare le forti richieste provenienti dal movimento Hirak. Tuttavia, secondo l’analisi di diversi costituzionalisti, la nuova Costituzione ha rafforzato ulteriormente il potere nelle mani del presidente, aumentando il controllo di quest’ultimo sugli organi legislativi e della magistratura. Anche nel caso del referendum costituzionale, l’affluenza alle urne ha visto votare a favore solo il 13,7% degli aventi diritto. Stesso copione alle elezioni parlamentari: alle urne si è recato circa il 30,2% (il tasso più basso per quanto riguarda il voto per l’organo legislativo negli ultimi 20 anni). In altri termini, la voce del palazzo el-Mouradia (palazzo presidenziale ad Algeri), che dipinge la tabella di marcia governativa come l’unica via per il cambiamento, non è riuscita a convincere gli algerini che hanno espresso il loro rifiuto con un massiccio boicottaggio elettorale. Le elezioni sono state viste da molti come nient’altro che riforme di facciata volte a prolungare la vita di un sistema politico autocratico. In un contesto segnato da un’abissale mancanza di fiducia tra Stato e cittadini e dall’assenza di meccanismi di responsabilità, il boicottaggio è diventato l’unico atto di sfida a disposizione dei cittadini.
Le manifestazioni promosse dal movimento Hirak, interrotte con lo scoppio della pandemia di Covid-19, erano riprese settimanalmente nel febbraio 2021, per poi essere violentemente fermate dalle forze di sicurezza prima delle elezioni legislative. Nel maggio 2021 è stata approvata una legge che criminalizza ufficialmente Hirak, accusato di essere infiltrato da organizzazioni terroristiche, come l’organizzazione Rachad di tendenza islamista e il Movimento per l’autonomia della Cabilia (Mak). Il numero di dubbie azioni penali per terrorismo è aumentato vertiginosamente. Sono state avviate azioni legali contro ong e partiti politici di opposizione, mentre si è intensificata la repressione dei difensori dei diritti umani e della professione legale. Al contempo, i margini di libertà di espressione e di stampa sembrano scomparire col passare del tempo. Gli organi di controllo hanno intensificato la censura sulla stampa indipendente, utilizzando i diversi mezzi a disposizione. Gli esempi sono tanti. A dicembre dell’anno passato, Ihsane El Kadi, direttore di Radio M e Maghreb émergent, è stato arrestato con l’accusa di aver ricevuto fondi da fonti estere presumibilmente in violazione dell’articolo 95 del codice penale; precedentemente, era già stato condannato a sei mesi di reclusione a seguito di una denuncia presentata dall’ex ministro delle Comunicazioni, Amar Belhimer, relativa a un articolo di Radio M del 23 marzo 2021. Nel 2022, Liberté, uno dei principali media indipendenti algerini, ha stampato il suo ultimo numero dopo trent’anni di attività. Anche i partiti e le organizzazioni di opposizione hanno subito una forte repressione. Nel gennaio del 2022, il Consiglio di Stato algerino ha ordinato la sospensione temporanea del Parti Socialiste des Travailleurs (Pst). In precedenza, le autorità avevano sciolto la Rassemblement Actions Jeunesse (Raj), una nota organizzazione della società civile che ha avuto un ruolo di primo piano nel movimento Hirak. Per gli stessi motivi, ossia violazione delle attuali leggi sull’associazionismo, a gennaio 2023 è stata sciolta la Ligue Algérienne pour la Défense des Droits de l’Homme (Laddh). La legge 12-06 del 2012 sulle associazioni ha creato restrizioni alle libertà di associazionismo e, evidentemente, non riesce ad essere in linea con gli standard internazionali in materia. Sul punto, anche le Nazioni unite, nelle parole dell’esperta in materia di difesa dei diritti umani, Mary Lawlor, si dicono preoccupati per l’escalation della repressione contro la società civile ad opera del governo.
Sul fronte economico, la situazione non sembra essere migliore. Se gli alti tassi di disoccupazione sono un problema di vecchia data nel paese, così come nel resto della regione nordafricana, la pandemia ha ulteriormente aggravato il problema con la perdita temporanea o permanente di centinaia di migliaia di posti di lavoro: negli ultimi anni, il tasso di disoccupazione si è attestato a circa il 12%. Gli algerini hanno anche assistito ad un’impennata dei prezzi, con il tasso di inflazione nazionale che ha raggiunto il 9,4% nel 2022. La diminuzione del valore del dinaro, l’uso eccessivo da parte del governo di sussidi, la carenza di offerta e l’aumento della domanda interna sono tutti fattori che hanno contribuito all’aumento del costo della vita e, di conseguenza, ad un peggioramento delle condizioni di vita delle fasce più povere della popolazione.
Paradossalmente, il conflitto nell’Europa orientale e il conseguente aumento dei prezzi degli idrocarburi sono state percepite come buone notizie dal paese maghrebino, in quanto le esportazione nel settore energetico rappresentano il 95% di quelle totali. Tuttavia, la prospettiva cambia volgendo lo sguardo su altri rami dell’economia. L’Algeria rimane fortemente dipendente da petrolio e gas. Il settore privato, che può guidare gli sforzi di diversificazione e creare alcuni dei posti di lavoro necessari per i milioni di algerini disoccupati, è stato ulteriormente colpito in seguito alla repressione di Hirak. Il potere, infatti, ha strumentalizzato la sua campagna anticorruzione per incarcerare imprenditori pro-Hirak senza precedenti comprovati di corruzione o cattiva condotta. Di conseguenza, i grandi investimenti privati si sono stati praticamente congelati rendendo l’ambiente, anche per i possibili investitori internazionali, altamente incerto.
Il percorso avviato con l’arrivo di Tebboune ha portato alla nascita di istituzione deboli, incapaci di avviare un forte processo di riforma. L’accordo politico, seguito dopo la paralisi di Hirak, appare, agli occhi di diversi osservatori internazionali, come una situazione in cui il potere è diviso tra diversi fazioni in competizione tra loro e dove solamente una ristretta fascia della popolazione supporta effettivamente le autorità. In questo scenario è evidente come le élite dominanti non abbiano nessun incentivo per impegnarsi in riforme significative e costruire istituzioni necessarie per uno sviluppo su vasta scala. Lo stallo istituzionale è stato riconosciuto anche dal presidente che, nel maggio dello scorso anno, ha avviato un dialogo con i partiti politici presenti nel paese. Ciò nonostante, la risposta di questi ultimi è stata negativa, visto il contesto sempre più critico rispetto alle libertà fondamentali. Ad oggi non sembra esserci progresso in tal senso.
Infine, nel contesto interno algerino attenzione particolare merita l’apparato militare. L’Esercito nazionale popolare (Armée Nationale Populaire, Anp) svolge, da sempre, un ruolo importante nel dettare gli affari e le politiche algerine. Il percorso delle forze armate, fondamento dell’Algeria indipendente, ha consolidato il suo doppio ruolo – politico e securitario – all’interno del paese. Oggi, appare chiaro, come tale organo abbia il potere di modellare la politica interna – e in diversi casi anche quella estera – con la benedizione (o sottomissione?) della classe politica. La supremazia dell’esercito è stata evidente in particolar modo in concomitanza con la fine dell’era Bouteflika: dopo mesi di manifestazioni popolari contro l’eventuale quinto mandato dello storico presidente, i militari hanno facilitato la sua uscita di scena e hanno preso le redini della transizione politica. Avendo svolto tale ruolo di guida, i militari hanno colto il momento e dettato le tappe successive del nuovo percorso politico. Tale posizione viene giustificata dalla volontà di preservare la stabilità sociopolitica, nonché di evitare un tracollo economico o un’ascesa di movimenti estremisti. Il peso dei militari, così come quello del governo, rende complicato anche il lavoro della magistratura. Secondo Freedom House, infatti, nonostante alcune riforme, persistono preoccupazioni riguardo l’indipendenza del sistema giudiziario.
Il ruolo paternalistico dei militari si è sviluppato a scapito di tutti gli altri attori che avrebbero voluto crearsi uno spazio nello scenario domestico della nuova Algeria. Tuttavia, se è vero che alcune fasce della popolazione apprezzano questo ruolo di “padre” svolto dall’apparato militare, le nuove generazioni potrebbero preferire una guida politica legittimata dal voto rispetto ad una imposta dall’alto. Attualmente, quest’ultimo scenario è lontano e, conseguentemente, l’esercito continuerà a mantenere la forte influenza sull’intera struttura istituzionale e, al contempo, a promuovere progetti militari e industriali necessari per i propri fini. Su tale punto, bisogna evidenziare come il governo di Algeri abbia aumentato il suo budget per la difesa fino a raggiungere quasi i 10 miliardi di dollari anche nel 2022, circa il 6% del Pil nazionale. La crescita della spesa militare in relazione al Pil è particolarmente evidente nell’ultimo decennio. Infatti, se nel 2010 l’Algeria spendeva circa il 3,5% del Pil in spesa militare, dal 2015 in poi – con eccezione degli anni 2017-2018 – il paese maghrebino ha dedicato costantemente oltre il 6% del Pil al settore difesa. Nel 2023, secondo fonti locali, la spesa militare dovrebbe raddoppiare, superando i 20 miliardi di dollari.
Per concludere, nel 2024 ci saranno le elezioni presidenziali e bisognerà capire come il paese arriverà alle urne. Il punto interrogativo riguarda la ricandidatura di Tebboune e il sostegno che questi riceverà dalla cerchia militare. Le precedenti elezioni hanno dimostrato come il presidente sia isolato e non goda di legittimità popolare. Al contempo, gli eventi in questi ultimi anni hanno creato non pochi problemi alle attività dell’esecutivo. Il governo è fin troppo desideroso di riconquistare un ruolo più importante nel Mediterraneo, ma ciò rimane complicato senza una seria legittimità popolare che ad oggi non c’è. Il promettente mercato energetico è stato, sicuramente, utile ad Algeri per aumentare il peso sulla scena internazionale, ma anche su tale punto il paese dovrà approfondire le sue potenzialità e capacità al fine di ottenere maggiori risultati in termini di sviluppo economico. L’Algeria rimarrà vulnerabile se non risolverà i suoi problemi interni, che per forza di cose avranno ripercussioni sul piano regionale.
Mario Savina